Bouar, 21 ottobre 2007
Erano le 11 circa di sabato mattina, che raccolte quelle solite 4 cose che mi servono per passare la notte e per celebrare la messa al villaggio, naturalmente senza dimenticare l’inseparabile macchina fotografica, sono partito per la “brousse”, a 140 km da Bouar. Un nuovo villaggio chiedeva da tempo di andare peraprire una nuova cappella.
Il nome del villaggio Zair. Il più lontano per ora dal centro della parrocchia. Mi avevano ricordato che oggi è la giornata missionaria mondiale; quale miglior modo di viverla che dare inizio ad una nuova comunità cristiana. Parto con la jeep, nel cuore le parole che la vita contemplativa e la missione si incontrano proprio là alla radice della fede.
Con mille pensieri che percorrono in lungo e in largo la mia mente, compresi quelli di una certa insicurezza sulla strada, percorro i km che mi separano da questa nuova comunità. Giunto alla riva del fiume lascio la jeep, mentre con lo zaino in spalla salgo sulla canoa che mi porta dall’altra parte vedo un nugolo di bambini che cantano festosi accogliendomi. Sono i bambini della scuola di Mbula, ad un km dal fiume. Accompagnati dai bambini festanti arrivo al villaggio, subito, siccome sono già le 14.30 e mi aspettano ancora altri 15 km da fare in moto il comitato della scuola si riunisce per fare il punto della situazione. Mi sembra positivo, 170 bambini iscritti. Qualche problemino da affrontare che cerco di rimettere nelle loro mani e poi via salgo sulla moto che un consigliere mi mette a disposizione perchè oltre il fiume non c’è strada e solo la moto passa. Percorriamo 4 km e giungiamo a Kississore, stessa scena di prima stessa riunione di prima. In più qui c’è la riunione per il nuovo progetto agricolo.
Intanto inizia a piovere, ma la strada è ancora lunga e difficile in quanto ci sono torrenti da attraversare e non deve assolutamente giungere la piena se no non si passa. Salgo in moto con lo zaino, le erbe alte che chiudono la strada fanno quello che manca alla pioggia, mi lavo tutto. Dopo qualche km attraversiamo un villaggetto, e sento la gente che, non abituata a vedere un bianco passare da quelle parti, forse non ne è mai passato uno, dicono è un “monjiu Nzapa” un uomo bianco di Dio. Io mi consolo mi riconoscono per quello che sono un missionario. Attraversaimo tre o quattro torrenti ad uno mi tocca scendere dalla moto il consigliere la spinge e io attraverso a piedi con l’acqua che mi arriva alla vita per un centinaio di metri. Continuiamo. Sul far del buio arriviamo al villaggio, il capovillaggio mi viene incontro, mi saluta quasi commosso, io quasi impacciato cerco nella mente qualche cosa che gli posso fare come regalo e siccome ho qualche quaderno gli ne do uno e insieme mi viene in mente di dargli il Vangelo nella lingua del posto che mi porto nello zaino. Lui è contentissimo, sembra che aspettava solo quello. Saluti a tutti, mani che si stringono alle mie, di bambini, tante, di ragazzi, di donne, di vecchi, di uomini, in mezzo ad un nugolo di mani ad un certo punto se ne fa stringere una che vedo lebbrosa. Qualche piccolo problema istintivamente ma poi la stringo a mo’ di saluto. A cielo aperto davanti alle capanne mi hanno preparato la cena, manioca e uno sfortunato pollo e tutti insieme mangiamo. Intanto si chiacchiera, del villaggio, del lavoro, della campagna, della scuola e dell’ippopotamo che vive nel fiume vicino al villaggio che un mese fa circa ha ucciso un pescatore che di notte si era recato al fiume per la pesca e questo lo ha attaccato calpestandolo selvaggiamente. Un giorno andrò a vederlo e se riesco a fotografarlo.
Alle 21 circa stanco, mi mostrano una capanna: è la mia camera per dormire. Tutti mi augurano una buona notte in compagnia di Dio e…..delle zanzare.
Entro c’è una stuoia per terra, prendo dal mio zaino un sacco a pelo e mi ci metto dentro un segno di croce veloce e parto per il modo dei sogni. Certo il suolo è duro, prima di trovare la posizione mi giro un bel po’ di volte, ma alla fine il sonno ha le meglio.
La notte piove, ma la paglia del tetto attutisce il rumre della pioggia e non disturba più di tanto anzi sembra fare una dolce compagnia. Qualche zanzara che interrompe il sonno un po’ di prurito qua e là, qualche dolorino dove le ossa spuntano di più ma tutto bene, la mattina mi trova rilassato. Un vociferare di gente mi fa alzare e uscendo dalla capanna vedo il cielo sereno. Strette di mani e saluti a tutti.
Dopo una tazza di caffè lungo mi porto alla chiesa, una capanna in paglia preparata per l’occasione e lì comincio ad accogliere la gente per vedere la loro situazione in rapporto alla chiesa. Tanti sono battezzati in altre chiese cristiane e vogliono divenire cattolici, altri hanno ricevuto li battesimo 20-25 anni fa e sono venuti a Zair per cercare fortuna nei cantieri di diamanti e sono ancora lì. Una donna viene dall’ est e mi dice che è giunta a Zair tre anni fa per il funerale del figlio e non è ancora riuscita a raccogliere il denaro sufficiente per affrontare il viaggio di ritorno e non sa nulla di casa.
Il capo villaggio mi dice che mi ha chiamato perchè tutto il sottosuolo è ricco di diamanti, ma sono anche stati disseminati una grande quantità di amuleti portafortuna e segno di maledizione per chi eventualmente scava i diamanti, che lui ha paura e ha bisogno di una grande benedizione che può venire solo da Dio per liberare la sua terra da tutte queste maledizioni. (Circolano mille e una credenze fantasiose nelle zone di diamanti).
Celebro la messa, cerco di metterci dentro tutte le persone incontrate, le mani che si sono strette alle mie, le paure e le speranze di questa gente, che per la prima volta vedeva un missionario ed era contenta. I bambini cantano forte, in modo appassionato e spontaneo. Il Vangelo ci parla di perseveranza.
Alla conclusione della messa affrontiamo il problema della scuola e del posto di pronto soccorso.
Io mentre tutti parlano a turno, vengo colpito da quanta fiducia ripongono in me in fondo semplice missionario che di fronte alla sterminate piana attraversata dal fiume forma un paesaggio tipicamente tropicale, e non riesco a capire se tutto questo mi è familiare dopo sedici anni di missione o se ancora possiede aspetti sconosciuti, nuovi e indecifrabili.
Verso mezzogiorno risalgo in moto, ripercorro la quindicina di km fino al fiume e attraversatolo ritrovo la jeep con una dozzina di persone tra malandati e acciaccati che chiedono di essere portati a Bouar perchè per il camion del mercato non hanno i soldi.
Saliamo in macchina, riprendo la strada del ritorno, mille volti, mille mani , mille immagine nella testa e nel cuore. Lascio girare dentro tutte queste emozioni, interrogativi, volti non prendo posizione. Cerco di viverle come dono della missione. E’ la mssione che mi porta non io lei. Oggi una nuova comunità cristiana ha avuto inizio. Le parole continuano ed essere vive dentro: la missione e la contemplazione condividono lo stesso spazio. Una giornata di vita missionaria come altre.
P. Beniamino