Bouar, 24 ottobre 2007
Da quando P. Tiziano è partito par l’Italia in vacanza, a Niem rimane solo P. Arialdo. Cerco di andare da lui ogni settimana e rimanere con lui almeno a pranzo o cena per stare in compagnia. Approfitto anche per passare dalle suore di Niem e a volte rendere loro qualche servizio.
Oggi Sr Elisabetta, infermiera, con molta semplicità, mi ha raccontato una storia straordinaria.
Una sera tardi verso le 22, come spesso capita, passano a chiamarla a casa che c’è un caso grave all’ospedale. Lei percorre quel centinaio di metri che separano la casa e l’ospedale, le presentano un bambino piccolino, forse di nemmeno un anno. Si rende conto immediatamente della gravità del caso. Il bimbo rantola, in un respiro affannato, completamente anemico. La prima reazione della suora è di rimprovero alla mamma che ha atteso tanto a portarlo; la mamma che lo tiene in braccio dice che viene da 40 km a piedi. La suora, benchè abituata a tanta gravità di situazione alla voce tremante della giovane mamma si commuove e mi ha confessato che dentro ha sentito una voce e una forza che si trasformano in sfida per la vita del bambino. Fa l’esame del sangue al bambino, si rende conto che quello del guardiano dell’ospedale è dello stesso tipo. Lo chiama e lo sottopone ad un prelievo volontario-condizionato. Qualche cc di sangue e immediatamente alla ricerca di una vena del bimbo per la trasfusione. Nel braccino niente, nei piedi nemmeno, finalmente, con la calma che contraddistingue il miglior spirito orientale-indiano, l’ago penetra in una piccola vena della testa. In poco tempo il sangue del guardiano si trasferisca nel fisico del bambino, ma chiaramente la ripresa non è immediata. Lo sguardo della madre segue con un misto di ansia e di fiducia le mosse della suora. Terminata la trasfusione, alle 23 passate, il primo pensiero della suora, stanca di quindici ore di lavoro in cui tutta la responsabilità del dispensario è sulle sue spalle, le suggerosce di ritirarsi a riprendere le forze per il giorno dopo, lasciando un materassino per terra da qualche parte per mamma e figlio e….che la forza della vita si faccia strada. La tenerezza indifesa del bimbo e lo sguardo della mamma, la fanno rimettere in discussione tutto. Prende il bimbo tra le braccia, si siede su una sedia e continua a guardarlo, a cercare i segni di cambiamento nei suoi occhi e sul suo viso. Rimane così, nel silenzio della notte e nella preghiera del cuore per due ore. All’una passata si rende conto che il bimbo ha ripreso, è fuori pericolo. Con un gesto di gratuità piena e con lo sguardo che dà sicurezza, lo riconsegna alla mamma, la quale risponde con un sorriso. Il sorriso del figlio riavuto.
Brava sr Elisabetta, hai pagato il prezzo del sorriso. Sai che non si può quantificare e contenere nelle le mani il valore di una vita. L’unica cosa che si può tenere tra le mani è una creatura che solo con l’ amore e la tenerezza si può cercare di strappare dalle mani della morte, quando questa lo sta facendo suo. Da qualche parte esiste una beatitudine anche per te che sai sostituire il peso della tua giornata con lo sguardo innocente che chiede di vivere.
Ciao, P. Beniamino