(Breve resoconto di Anna, in visita a Boaur presso la missione di Fatima e il Centre de Santé Saint Michel)
L’informazione è passata per radio Siriri (radio Pace): ritrovo alle 7.30 davanti alla Mairie (Comune) di Boaur per una grande marcia di donne che si concluderà verso le 9.00 in centro città, alla Tribuna. Il programma della Giornata mondiale della donna prevede poi, a seguire, il discorso di Madame Céline la presidentessa dell’Organizazione delle donne centrafricane (OFCA), quello di Monsieur il Prefetto e di qualche altra autorità, e per finire una serie di scenette recitate da donne di diverse associazioni e ONG.
Il tema generale della giornata, in realtà, è già stato anticipato ieri pomeriggio, nel corso dell’incontro pubblico organizzato da OEV (Orfani e Bambini Vulnerabili) con BINUCA (la missione ONU in Centrafrica) e VESOS (Villaggi dei Bambini SOS). Anzi, i temi sono due: uno internazionale e uno nazionale. Il primo è Rendere autonome le donne nelle società rurali e il loro ruolo per sconfiggere la povertà, per lo sviluppo e per le sfide attuali; il secondo è La parità uomo-donna. Come dire: c’è parecchio lavoro da fare.
Alle 7.50, quindi, con un po’ di ansia al pensiero di essere in ritardo, mi faccio depositare da una macchina amica davanti alla Mairie. C’è una persona ad aspettarmi: Lucie, la bravissima counselor del Centro di sanità Saint Michel, condotto dai Padri Betharramiti. Ma a parte lei, nessuno. Dopo poco arriva un gruppo di militaresse in servizio d’ordine, seguite a breve distanza da Caroline, la studentessa di medicina che sta passando qualche mese a Saint Michel. E per circa un’ora rimaniamo noi e nessun’altra.
Orari centrafricani, mi spiega Lucie, un po’ arrabbiata.
Be’, saremmo dovute arrivare preparate: ieri l’incontro pubblico era previsto per le 13.30 ed è iniziato quando sono arrivati i relatori, alle 15.30.
Passiamo l’attesa all’ombra di un mango: l’aria è decisamente fresca, tanto che dopo un po’ viene addirittura la pelle d’oca! La differenza di temperatura tra l’ombra e le zone al sole è enorme, di primo mattino. Finalmente verso le 9.20 arrivano, tutte insieme, le donne: la gran parte scende dai piccoli bus bianchi delle ONG e di BINUCA. Sono bellissime! Gli abiti colorati e di fogge tutte diverse aggiungono eleganza alla già naturale eleganza di portamento delle donne africane. C’è di che morire d’invidia, ai miei occhi di munju (bianca) che si sente sempre un po’ disadattata nel mondo. Le donne di Mercy Corps (ONG internazionale) srotolonano lo striscione bianco con i temi della giornata, ci si dispone in due file indiane e si parte!
L’energica Lucie sollecita subito i canti e, dopo il via, non si smetterà di cantare per tutto il tragitto. Le parole e i motivi musicali per fortuna sono semplici e presto io e Caroline, munju infiltrate, ci uniamo ai cori. La parola chiave è “wali”, che significa “donna”. Facile. Lungo la strada si uniscono al corteo altre donne e dopo circa mezz’ora si arriva quasi trionfanti alla grande rotonda sterrata che segna, simbolicamente ma anche praticamente, il centro città. Si gira a sinistra e si procede, sempre su due file, veso la Tribuna: un lungo basamento in cemento, rialzato rispetto alla strada e coperto da una tettoia, dove, seduti comodi all’ombra su più file di sedie, stanno, in attesa di parlare, le autorità.
Noi donne della marcia facciamo un giro e poi ci fermiamo davanti alla Tribuna, disposte anche noi su due file, ma in piedi e al sole. C’è qualcosa che non va, penso. C’è molto da fare, ri-penso.
Mi avvicino a Lucie e chiamo al cellulare William, il volontario francese che si occupa di sensibilizzazione contro l’AIDS al Centro Saint Michel. Io e Lucie, infatti, siamo qua per un duplice motivo: perché donne e perché impegnate, oggi, in un intervento di animazione e comunicazione sull’AIDS che faremo tra poco per conto del Centro Saint Michel. Con noi, altre cinque donne, “reclutate” da Lucie: Béatrice, la “sage famme” (levatrice) del Centro Saint Michel e counsetor per donne incinte con HIV; Zita, diciassettenne all’ultimo anno del liceo; Pierrette e Yvette, due donne che hanno in precedenza fatto un corso di formazione come animatrici da Merci Corps; e Fatu, affascinante giovane donna musulmana di etnia fufulta. Fatu è potuta venire grazie a un po’ di burocrazia, resasi necessaria appunto perché il patriacato più becero è ben lungi dall’essere sconfitto e le donne ne sono vittime continue: è stato infatti necessario che una lettera ufficiale di richiesta di partecipazione fosse scritta da William, firmata da fratel Angelo come Direttore del Centro Saint Michel, marchiata con un bel timbro blu e recapitata al sindaco, affinché il sindaco dicesse al padre del marito della donna di darle il permesso. Un bell’esempio di idiozia e violenza morale dura a morire.
William arriva con i cartelloni preparati per questo evento e soprattutto con i microfoni e l’apparecchio portatile di amplificazione voce. Tutto il materiale necessario per la scenetta che le donne di Lucie reciteranno tra un paio di discorsi ancora. Ma la scaletta della cerimonia è imprevedibilmente flessibile e d’improvviso le attrici vengono condotte davanti alla Tribuna e incoraggiate a iniziare! Al posto dei nostri buoni microfoni, viene loro dato un megafono mezzo rotto da passarsi l’una con l’altra, e via. Porcaccia, tutta la nostra organizzazione se ne va un po’ in manioca.
Ma per fortuna le donne di Lucie se la cavano. Il pubblico segue attento, anche se qualche frase di sicuro non arriva alle orecchie di tutti, e la scenetta arriva in fondo come deve. Non si potrà mai sapere qual è il significato che ciascuna delle presenti vi avrà trovato, ma di sicuro la scenetta è servita almeno per fare sentire le parole “dépistage” (test dell’AIDS) e “Centre Saint Michel”. Per le attrici, poi, è stata una bella esperienza: si sono trovate due volte per provare, e la storia l’hanno inventata e messa punto loro stesse, attraverso lo scambio e la discussione.
In breve, il riassunto e il senso della pièce. Una donna centrafricana va a lavorare in Francia, ma dopo qualche anno vuole tornare al suo paese per sposare il fidanzato che aveva lì. Chiama allora al telefono la madre del fidanzato e la avvisa del suo ritorno. La madre approva, la ragazza torna in Centrafrica. Ma quando la ragazza arriva a casa del fidanzato per fare visita alla famiglia, trova la madre e la sorella del ragazzo piuttosto sospettose, per il pregiudizio che hanno verso le ragazze che vanno in Europa. Quanti ragazzi avrà avuto laggiù? La mamma del fidanzato impone dunque alla ragazza di fare il test dell’AIDS e si riserva di dare il suo assenso al matrimonio solo dopo aver visto il risultato. Il ragazzo l’accompagnerà e lo farà anche lui, tanto lui è tranquillo. I due vanno dunque al Centro Saint Michel e fanno il test. Ma il risultato è diverso da quello che voleva il pregiudizio: la ragazza è negativa e il ragazzo è positivo. La ragazza allora torna dalla madre del suo fidanzato e la ringrazia tanto di averli obbligati a fare il test: quanto a lei, molla il fidanzato e se ne va via contenta.
Fermi, non iniziate subito con i “ma” e i “però”: “Eh, ma così viene fuori che se fai il test puoi perdere la fidanzata”, “Eh, ma così va a finire che nessuno fa più il test per paura di non sposarsi più”, “Eh, ma così sembra che l’AIDS se lo becchino sempre gli africani mentre gli europei munju non ce l’hanno” ecc.
Le donne di Lucie hanno scelto questa storia per UNO scopo preciso: fare vedere almeno UN vantaggio che deriva dal fare il test. Il vantaggio, per la ragazza, è che può decidere di non sposare un uomo infettato, perché sa. Il vantaggio è conoscere lo stato del partner. Tra l’altro, all’inizio del lavoro di preparazione della scenetta i ruoli erano rovesciati: era l’uomo a essere andato in Europa e a essere negativo al test. In questa prima versione, la scenetta mirava soprattutto a mettere in ridicolo i pregiudizi. Poi, insieme abbiamo riflettuto su come dare anche più rilievo al tema della donna e abbiamo provato a scambiare i ruoli. La versione finale è piaciuta di più a tutte.
Dopo la scenetta delle donne di Saint Michel ci sono state quelle di Mercy Corps, parecchio più lunghe e complicate. Noi però non le abbiamo seguite: ce ne siamo andate tutte al baretto all’aperto poco lontano per berci una bibita fresca offerta da William.
La mattinata si è conclusa con il piccolo mercatino di donne di varie associazioni, tra cui le sarte di Wali zingo na lango (“Donna, svegliati”) sostenute dall’associazione Jiango be Africa e dalla cooperativa del commercio equo Mimopo (entrambe di Cologno Monzese), e con la sessione di comunicazione sull’AIDS di William e Alen (sociologo counselor) di Saint Michel. Nonostante fosse rivolta soprattutto alle donne, anche grazie a cartelloni centrati sul tema della trasmissione del HIV dalla mamma al bambino, la sensibilizzazione ha avuto un pubblico quasi interamente maschile e adolescente. Una scena già vista anche ieri, dopo l’incontro pubblico sui temi della Giornata della donna. Evidentemente, l’argomento HIV-AIDS attira i ragazzi adolescenti, che si trovano a dovere gestire ormoni molto agitati e in più non hanno troppa vergogna a parlare di sesso, mentre per le donne rimane forse la difficoltà di mostrarsi coinvolte, o l’usanza di stare in disparte quando ci sono assembramenti maschili, o millenni di sottomissione e di abitudine a essere seconde.
C’è ancora parecchio lavoro da fare.